Solo i frati che coltivano la preghiera interiore, conducendo una vita spirituale profonda unita allo studio della teologia, sono veramente pronti a proclamare la pace agli altri. Solo loro possono essere guide all'unione con Dio. Ed è estremamente importante. Secondo san Bonaventura la vera teologia dev’essere pratica il che significa, che deve servire l'uomo nella sua azione e insegnargli ad amare Dio e il prossimo.
Questo permette a un teologo di essere una guida. Nella quotidianità capita spesso che il teologo diventa il consigliere delle anime. Il Serafico Dottore ci parla di tre cattivi consiglieri: il primo è, chi annienta le cose grandi; il secondo è, chi volge in male le cose buone; il terzo è, chi rende dubbie le certe.
Allora chi completa gli studi presso la nostra Facoltà dev’essere il buon consigliere. Deve sapere come eliminare i consigli malvagi. Sappiamo bene che il mondo di oggi ha tanto bisogno della verità. Ha bisogno dei testimoni della verità che, anche per il sacrificio della propria carriera, possano stare dalla verità, perché solo la verità ci rende liberi.
Tale testimone era san Bonaventura, un teologo-pastore. «Un pastore che, come il Maestro, ama le sue pecorelle. Non fugge davanti ai lupi rapaci, ma affronta e svela i falsi pastori, denunciando le loro dottrine erronee, nutre le anime con la dottrina più solida, sicura e devota, svelando loro le ricchezze della vita cristiana con parole semplici per essere capito da tutti».
Il Vangelo ci dice che Gesù è il Pastore buono, "kalós" in greco. Ma questa parola greca non significa soltanto "buono, prezioso, nobile, che influenza la mente in modo buono" ma soprattutto "competente, sperimentato" allora è il pastore che conosce la strada e può guidare il gregge con la massima sicurezza. Il teologo deve riconoscere in se stesso e mettere in pratica le qualità di un pastore "kalós".
San Bonaventura parla di molte cose legate allo studio della teologia. Ma vorrei ricordarne solo tre molto importanti per noi, che stiamo iniziando l’anno accademico. Che queste cose ci aiutino nel nostro lavoro scientifico, nello studio.
Prima di tutto, studiamo non per il proprio piacere, per interesse personale ma per rendere servizio. Ci dice san Bonaventura: «Voglio parlare con la maggior chiarezza possibile, perché tutti mi comprendano». La teologia è un servizio per edificare gli altri, per l’edificazione del prossimo.
La seconda cosa è l’umiltà nello studio perché, come dice il Santo, «chi pretende di entrare nel santuario di Dio con la superbia, non riuscirà, sebbene sia letterato; come sarebbe stolto l’illetterato, che volesse entrarvi con alterigia». Il teologo deve saper riconoscere i propri limiti e intraprendere lo studio con umiltà.
E infine, la terza cosa: oltre all’umiltà, uno studente di teologia deve sentirsi coinvolto nella vita di tutti i giorni. Non può sentirsi estraneo dalla realtà, non può vivere fuori della realtà, fuori della realtà della Chiesa, dell’Ordine, del mondo con i tutti suoi problemi morali, sociali, culturali. Ci dice san Bonaventura: «Questa scienza, se non è accompagnata dalle opere, invece che utile, è dannosa».
Questi sono consigli molto pratici e necessari del nostro confratello e anche del patrono della nostra Facoltà. Ecco perché vale la pena ricordarli.
Carissimi, iniziando questo nuovo anno accademico vi chiedo: Aprite i vostri cuori e le vostre menti, non accontentatevi di quello che avete già raggiunto. Abbiate le sani ambizioni dello studio, della ricerca scientifica.